MANTA, Santa Maria del Monastero

La storia

Santa Maria del Monastero è stato il primo edificio di culto cristiano presente a Manta ed è anche uno dei monumenti religiosi più antichi del Piemonte meridionale. La conformazione delle absidi e dei pilastri interni permette di collocare la costruzione della chiesa intorno alla fine del XI secolo. Nei documenti comparirà però solo più tardi: viene infatti citata in due atti di donazione, rispettivamente nel 1175 e nel 1182. All’epoca era una dipendenza dell'Abbazia di Pedona, oggi Borgo San Dalmazzo, che vantava numerose fondazioni religiose sul territorio. Accanto alla chiesa sorgeva un convento di monaci benedettini, da cui deriva il nome; durante il Cinquecento esso venne distrutto e sostituito da una fornace, di cui non rimane traccia. Nel XV secolo la chiesa divenne una cappella cimiteriale per le famiglie più abbienti. Fu frequentata dalla popolazione della pianura fino al 1673, quando si aprì al culto l'attuale parrocchia di Santa Maria degli Angeli; gli abitanti della collina si raccoglievano invece nella parrocchiale del castello. Dopo anni di abbandono, alcuni interventi del XVIII secolo ne modificarono l’aspetto: venne rinnovata la facciata, fu costruito il campanile e collocato l’altar maggiore. Abbandonata di nuovo al degrado nell’800 e utilizzata come comando militare nel secondo conflitto mondiale, è stata riscoperta e restaurata all’inizio del nuovo millennio ed è oggi un luogo dedicato alla cultura.


La chiesa

L'edificio ha oggi solo in parte conservato il suo aspetto originario: esternamente, la parte più integra sono le belle absidi esterne, che mostrano ancora tracce degli archetti pensili sopra le bifore. La facciata a capanna è invece stata rifatta nel 1760. L’interno è a tre navate, scandite da quattro pilastri realizzati in pietra con alcuni inserti in laterizio. La luce entra in chiesa dalle aperture in facciata e dalle monofore dell’abside. Gli scavi degli anni Novanta hanno riportato alla luce parte della pavimentazione originale: nel XV secolo, quando la chiesa fu adibita a luogo di sepoltura, il pavimento era infatti stato sopraelevato di circa 90 centimetri. La funzione funeraria continuò per secoli, come testimonia la lastra che ricorda la sepoltura di Francesco Franchi, datata 1539. Molte erano le lapidi a pavimento, purtroppo sostituite con lastre in pietra durante il restauro.


Gli affreschi

La decorazione ad affresco è concentrata nelle due navate laterali e risale al XV secolo. In quella di sinistra si vede un riquadro con i rappresentanti delle grandi congregazioni monastiche: san Benedetto e san Bernardino da Siena. Accanto è dipinta un’Annunciazione con la particolare rappresentazione dell’homunculus, ovvero la figura di un piccolo uomo che scende verso Maria. È Gesù Bambino, come dimostrano l’aureola e la croce che porta sulle spalle. Si tratta di un’iconografia piuttosto rara, spesso cancellata in epoca di Controriforma.

Il ciclo più importante si trova nella navata di destra. In parte strappati nel 1979 e collocati per quasi trent’anni nei musei di Saluzzo e Torino, gli affreschi sono stati ricollocati nel 2007. Il ciclo si compone di alcune figure di santi particolarmente venerati, ritratti a figura intera con grande attenzione ai particolari: san Nicola, san Leone Papa (patrono di Manta), san Biagio, san Giacomo Maggiore e san Benedetto. Sull’altare è stata rinvenuta una Veronica con i santi Pietro e Paolo. A questi si affiancano scene narrative, cariche di pathos: la deposizione di Cristo nel sepolcro, l’Annunciazione, la Trinità e soprattutto il grande Giudizio Universale sulla parete destra. Il grande riquadro è dominato dal Cristo giudice al centro della mandorla sostenuta da angeli: è una figura maestosa e terribile, che salva o condanna come ricordano i cartigli svolazzanti. Lo spettatore è coinvolto dalle figure potenti e patetiche, ma – allo tesso tempo – non può che ammirare la raffinata eleganza dei dati di moda e costume.

Databili agli anni Trenta del Quattrocento, gli affreschi furono realizzati da una bottega fortemente influenzata dallo stile della sala baronale del vicino castello, dipinta una decina di anni prima. Siamo negli anni del Gotico Internazionale, che ama mescolare la raffinata eleganza delle corti con tratti rudi e popolari. Secondo gli ultimi studi, questa maestranza avrebbe operato anche nella antica chiesa del castello. Lo stemma ripetuto in più parti fa ipotizzare che i committenti siano stati membri della famiglia Urtica di Verzuolo, vassalli dei marchesi. Lungo la parete sono altre scene, non tutte leggibili. Si riconoscono il martirio di san Sebastiano e un riquadro con san Fabiano, sant'Antonio abate e ancora un san Sebastiano rappresentato questa volta nelle vesti di un nobile cavaliere.


CREDITS

Regia: Paolo Ansaldi
Post-Produzione: VDEA Produzioni
Traduzioni: Europa 92
Copywriter e ricerca: Laura Marino


FINANZIAMENTI

Comune di Manta


RINGRAZIAMENTI

Loredana Conte


PER SAPERNE DI PIÙ

www.comune.manta.cn.it