BUSCA, Gli affreschi dei fratelli Biazaci

I fratelli Biazaci di Busca

Nel corso della seconda metà del Quattrocento, la bottega di Tommaso e Matteo Biazaci realizzò oltre una trentina di pitture ad affresco e su tavola disseminate tra la pianura cuneese, le valli del Marchesato di Saluzzo e l’antica diocesi di Albenga. Com’è naturale, non tutte le opere hanno la medesima qualità, ma alcune di esse sono firmate da “Thomas Biazacius de Buscha et Matheus eius frater”: questo permette di conoscere i nomi dei pittori, la parentela che li legava e il luogo di provenienza, Busca appunto. A quell’epoca la cittadina aveva circa 3.000 abitanti e aveva il suo centro vitale lungo la contrada maestra.


Le cappelle

Le quattro cappelle coinvolte in questo percorso si collocano nel territorio intorno a Busca. I siti si trovano per la maggior parte in zone collinari e sono collegati da una rete di sentieri percorribili a piedi o in bicicletta, opportunamente segnalati da un’apposita cartellonistica.


La cappella di San Sebastiano

Situata lungo la via che conduce a Villafalletto, nei pressi del cimitero, la cappella mostra diverse fasi costruttive: una romanica nell’abside interna, una trecentesca lungo il lato sud, una settecentesca nel piccolo coro e nel campanile. La decorazione ad affresco risale agli ultimi vent’anni del XV secolo ed è comunemente ritenuta una delle opere più rappresentative dei Biazaci.

Sulle vele del portico – chiuso in un secondo momento – sono dipinte le scene della vita di San Sebastiano, protettore contro le pestilenze; in ogni vela compaiono tondi con gli Evangelisti. Il racconto si svolge ai tempi delle persecuzioni messe in atto dall’imperatore Diocleziano contro i Cristiani, tra il 303 e il 310. La storia inizia nella vela sopra l’ingresso con Sebastiano che impartisce il battesimo ai nuovi Cristiani. Si prosegue con la visita di Sebastiano a Marco e Marcellino, in cui il santo esorta i compagni incarcerati, accompagnato dai loro parenti in lacrime; sempre nella stessa vela vediamo Sebastiano davanti a Diocleziano che lo condanna a morte. La vela di fronte all’ingresso è la più importante e ospita un solo capitolo di questa storia: il martirio di Sebastiano trafitto dalle frecce. Nella vela successiva Sebastiano, sopravvissuto agli arcieri, non ha più gli abiti del nobile cavaliere: viene nuovamente condannato a morte, questa volta per fustigazione; la presenza divina è rappresentata dalla mano benedicente al di sopra del santo. Nell’ultima scena, collocata all’interno di un’architettura scenografica, i soldati gettano il corpo di Sebastiano nella cloaca massima (in alto), ma Santa Lucina lo recupera (in basso) per dargli degna sepoltura nelle catacombe.

Di particolare interesse sono i corposi apparati decorativi che incorniciano le scene, i precisi dati di costume che descrivono gli accessori di abbigliamento, le armi, le architetture, ma soprattutto le iscrizioni. Come dei fumetti, i cartigli riportano le parole dei protagonisti che si esprimono nella lingua italianizzante del tempo, mostrando evidenti rimandi al mondo delle sacre rappresentazioni.

Al medesimo intervento decorativo vanno riferite le figure di santi emerse nei sottarchi e l’evanescente Madonna con il bambino dipinta all’esterno, sulla parete nord.


La cappella di Santo Stefano

La cappella, immersa nel verde, è posta lungo la via che sale all’Eremo nella zona del Parco Francotto. Poco lontano era posto il castrum difensivo romano, sul quale si insediò poi il castello medievale: a quell’epoca la cinta muraria della fortificazione giungeva fino alla nostra chiesetta. La cappella fu affrescata dai fratelli Biazaci intorno al 1490. L’arcone trionfale, bordato da un'elegante fascia a torciglione, è suddiviso in tre riquadri: al centro è dipinto il Cristo nel sepolcro tra Maria e san Giovanni, ai lati i due protagonisti dell’Annunciazione, l’arcangelo Gabriele e Maria annunciata.

Anche il catino absidale è ripartito in più pannelli: in alto è rappresentato Cristo Pantocratore che siede in una cornice variopinta (detta “mandorla”); accanto a lui, i simboli degli evangelisti, accompagnati da nastri svolazzanti che riportano il loro nome e il versetto iniziale del Vangelo. Nella fascia inferiore vediamo la Madonna in trono con Gesù Bambino al centro e ai lati le storie del santo dedicatario della chiesa, primo martire cristiano: santo Stefano che guarisce un bimbo ammalato, santo Stefano che discute con i Giudei, la lapidazione del santo, la sepoltura. Particolarmente interessanti sono le caratterizzazioni dei personaggi: popolani, uomini di legge o malfattori vestono abiti caratteristici, copricapi alla moda, accessori ricercati. Tra questi spicca una ghironda, strumento tradizionale delle valli Occitane: si tratta di una delle prime raffigurazioni pittoriche che conosciamo.

Se nella cappella di san Sebastiano le frasi sui cartigli sono in un dialetto italianizzante, qui sono tutte in latino, tranne la preghiera del santo colpito dalle pietre: le parole riprese dalla lingua parlata erano certamente più chiare e coinvolgevano maggiormente il fedele. Esse rimandano, non a caso, alle parole pronunciate da Cristo sulla croce.

Nei secoli, la cappella fu oggetto di grande devozione, come testimoniano i numerosi graffiti presenti sugli affreschi, soprattutto sulle scene del martirio e della sepoltura.


La cappella della Madonna del campanile

Nel documento del 20 maggio 1281 - che sancisce la sottomissione di Busca al Marchese Tommaso I di Saluzzo - si parla di questa chiesa, chiamata già allora Madonna del Ciocchèro (ossia del campanile). Distrutta nel 1691, fu ricostruita in forme barocche sui ruderi antichi e conserva ancora affreschi dei Biazaci, databili agli anni Ottanta del XV secolo.

Sul lato sinistro della chiesa, un riquadro raffigura san Giovanni Battista (di cui restano solo le gambe), la Pietà tra Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, e sant’Antonio abate. Nonostante il restauro del 1983, l’opera resta difficile da leggere, ma si apprezzano ancora il bel volto della Madonna, i particolari dell’abbigliamento e gli attributi dei santi, come il simpatico maialino ai piedi di sant’Antonio.


La chiesa di San Martino

La chiesa di San Martino si trova sulla collina a nord del centro abitato, nei pressi della via romana che collegava Cavour (antica Caburrum) alle Gallie, passando da Pedona (oggi Borgo San Dalmazzo). La bella facciata e il fianco sinistro presentano mattoni e ciottoli di fiume e mostrano le numerose trasformazioni subite dall’edificio.

Gli affreschi dei Biazaci sono collocati nell’abside centrale, ai lati di una piccola monofora che fa filtrare la luce. Sulla sinistra sono il Salvatore, san Francesco, san Fiorenzo, san Martino vescovo; sulla destra la Madonna in trono con Gesù bambino, san Giuseppe e san Bernardo. Fino al 1928 gli affreschi erano ricoperti da scialbo che fu asportato nel 1962; poco dopo si eseguì una radicale opera di ridipintura che ha integrato le figure e gli sfondi con molta libertà, cambiandone radicalmente l’aspetto e rendendone difficile lo studio. Nonostante ciò gli studiosi ritengono che gli affreschi originari siano stati realizzati dai Biazaci negli anni Ottanta del Quattrocento.


CREDITS

Regia: Paolo Ansaldi
Post-Produzione: VDEA Produzioni
Traduzioni: Europa 92
Copywriter e ricerca: Laura Marino
Le immagini prima del restauro della chiesa di S. Martino sono tratte dal volume Tommaso e Matteo Biazaci da Busca a cura di Anna De Floriani e Stefano Manavella, Cuneo 2012.


FINANZIAMENTI

Comune di Busca


RINGRAZIAMENTI

Maura Villar
famiglia Marsengo
famiglia Galliano
Silvana Giletta e Federica Fino


PER SAPERNE DI PIÙ

www.comune.busca.cn.it